I lumi irregolari di Neuropa
di Luciano Pagano

Contraddistinto da un impianto filosofico rigoroso, l’incipit
di Neuropa (Gianluca Gigliozzi, Luca Pensa Editore, 2005) porta con
sé, da subito, IO, protagonista non soggetto. Torno a riflettere
su questo romanzo a distanza di due anni, dopo aver conosciuto direttamente
l’autore, grazie ad un breve giro di presentazioni in Puglia,
tra il giugno e il luglio del 2005. Nel frattempo, tra la gestazione
e la pubblicazione, il romanzo ha subito variazioni, la suddivisione
in parti è cambiata, da due a tre rispetto al manoscritto che
ebbi modo di recensire su musicaos.it nel dicembre del 2004.
Cosa accadrebbe se la modernità si fosse costituita, dall’età
dei Lumi a oggi, non sul principio della ragione bensì su quello
della follia? Che cosa intendiamo quando diciamo ‘modernità’?
Questi due quesiti sono costituenti della scrittura di Neuropa, la loro
soluzione è l’azzardo che si propone inizialmente l’autore,
Gianluca Gigliozzi.
La storia è anche luogo di scontro dei pregiudizi, quello ad
esempio che vorrebbe il Medio Evo come un’età oscura, e
che legge nell’Illuminismo un’età gloriosa; ma la
storia, per l’appunto, è interpretazione. Cosa dire ad
esempio se il Medio Evo in questione è quello di un Sant’Alberto,
o di un Dante, un periodo che prima ancora della scoperta dell’America
vedeva l’Europa percorsa dai fremiti della ragione, del dibattito
e della disputa? Certo, la differenza considerevole è data dal
fatto che nel Medio Evo l’esistenza era in bilico, poche persone
avevano una aspettativa di vita più lunga della moltidudine,
pochissime potevano frequentare le altrettanto poche Università;
ce n’erano centinaia di migliaia che conducevano un’esistenza
d’inferno. Ecco forse una delle conquiste della modernità,
la centralità del Soggetto-Io nella storia. La contrapposizione
Io-Dio scorre nelle prime pagine di Neuropa. La modernità potrebbe
non essere una conseguenza dell’era che l’ha preceduta,
così come potrebbe essere giunto il momento di oltrepassare lo
stallo della post-modernità. Il livello delle fonti di Neuropa
è duplice. Il primo livello è quello delle fonti letterarie,
da Sterne a Swift, da Rabelais a Quevedo, Sade, Rousseau, Diderot, fonti
le cui radici affondano per l’appunto nella genesi della modernità.
Ad una seconda lettura, tuttavia, si possono leggere altre tematiche
a noi contemporanee, l’utilizzo del romanzo storico è infatti
un pretesto linguistico, una ‘maniera’. Neuropa non è,
a mio parere, ascrivibile al genere del ‘romanzo storico’,
etichetta che a quest’opera farebbe poco bene, basti l’esempio
dei due autori che vengono citati fin dalla quarta di copertina, cioè
Swift e Sterne; così come il “Tristam Shandy” o i
“Viaggi di Gulliver” sono molto di più che semplici
romanzi, nell’impianto e nello stile.
Neuropa è un romanzo contemporaneo - così è la
filosofia in esso dispiegata - ambientato in un tempo storicizzato.
Con un ottica ’scentrata’ a questo modo può così
contenere e discorrere una tematica così urgente come la fondazione
del moderno, ragione o follia? Parlare del passato per descrivere l’oggi,
scoprire i conflitti tellurici, i nervi che agitano il pensiero; l’invenzione
narrativa è il secondo asso nella manica di Gianluca Gigliozzi.
La poesia (intesa come creazione) è anche la possibilità
di creare dei mondi alternativi, dove le ipotesi di fondo, gli assiomi
indimostrabili sono altri.
Certo, se lo spirito con cui va inteso Neuropa è quello della
contemporaneità, l’impianto è quello del romanzo,
la storia è presente, la trama è questa, un folle, chiuso
nel carcere insieme al Marchese De Sade, gli fa da aiutante per apparecchiare
spettacoli ‘comici’, commedie umane sul cui ‘palcoscenico’
entrano i personaggi della storia, della filosofia e della scienza dei
secoli immediatamente attigui al diciottesimo. Gigliozzi travolge il
romanzo di formazione, nella fattispecie la formazione di Io, la cui
sete di conoscenza viene confusa con la follia, il desiderio di conoscere
l’invisibile viene dissolto a suon di bagni freddi nel College
di Charenton, dai suoi genitori, poco dopo aver compiuto il dodicesimo
anno di età. Si tratta nientemeno che di un manicomio. La nascita
dei sistemi di reclusione, coercizione e rieducazione in Europa è
contraddistinta dalla comunanza di folli e criminali; il Potere della
Ragione si accompagna al terrore per il suo contrario, i neuropatici
sono oggetto di segregazione e bersaglio, i Lumi azzerano la considerazione
di cui aveva goduto fin dal Medio Evo la figura del ‘fool’,
che nell’immaginario critico romantico costituiva un residuo,
un personaggio che in virtù della sua follia poteva avere accesso
libero alla verità così come alla non-verità, “[…]
essendo le cose quelle che fingono di stare sotto il dominio di chi
le fa o le usa o ne gode - in realtà essendo queste cose nient’aòtro
che il dominio delle cose stesse su quelli che credono di godere, usarle,
farle […]” (p. 19).
Un romanzo dunque che si interroga sul conflitto tra Potere e Soggetto,
la matrice foucaultiana è evidente, almeno quanto evidenti sono
i referenti letterari in Neuropa: “[…] le parole sono cambiate,
ma solo per mantenere l’illusione che siano cambiate, ma solo
per mantenere l’illusione che siano cambiate anche le cose - perché
le parole e le cose adesso non possono più vedersi faccia a faccia
- altrimenti finirebbero in frantumi come vetri […]” (p.
21).
Il grande scisma d’Occidente, quello tra le parole e le cose ha
avuto inizio, secondo il Sade/personaggio e amimco di Io, quando il
sole ha ’smesso’ di girare attorno alla Terra, ed essa non
è più il centro dell’universo; da quel giorno nemmeno
tutti li Io sono centri, bensì corpuscoli atomici in balìa
del mondo che si manifesta contro di essi, tradotto ed espresso in parole.
Io non si accontenta di ‘rappresentare’ la storia, Io è
nella storia, la sua lingua è onnivora, evocatrice, creatrice.
La vis comica dell’autore investe la materia, tutte le storie
che scorrono tra le pagine sono segnate dal conflitto tra Potere e Io,
tanti singoli Io fanno addirittura un Popolo, la miseria è dovunque,
persino il Veltro deve improvvisare le sue vesti e poi partire come
un Don Chisciotte a raccogliere i fondi per fondare la Castiglia. Il
romanzo storico può essere affrontato in modi diversi, ci sono
autori che prediligono un’esatta ricostruzione, fitta di riferimenti
alla storia e ricca di descrizioni, la lingua può essere la lingua
dell’oggi calata nell’ambientazione contemporanea. Ci sono
romanzi dove l’autore invece cede alla tentazione di ricotruire
un ambiente linguistico, dove far agire i propri personaggi. Neuropa
è il romanzo del romanzo moderno, con vere e proprie nuances
nei lumi irregolari della critica culturale contemporanea, da Uwe Johnson
a Witold Gombrowicz, da Antonio Lobo Antunes a Carmelo Bene. [Continua]
