Distruggi
il male, vai!
Su “Actarus. La vera storia di un pilota di robot” di Claudio
Morici
Che
cosa ci fa una superbike da supereroe lanciata nel vuoto nietzscheano
come al di sopra di un abisso? Il background di una generazione cresciuta
tra fumetti e cartoni animati, prima dell’avvento del digitale e
della playstation, era già entrato a pieno titolo nell’immagine
letteraria e nella produzione recente, non solo italiana. Il passo in
avanti avviene grazie a Claudio Morici, autore di “Actarus, La vera
storia di un pilota di robot” (Meridiano Zero). Actarus è
un pilota allo sbando gettato in un’epoca che lo vuole eroe a tutti
i costi, lui, giovane ragazzo affetto da una insana dipendenza nei confronti
della birra Peroni. Actarus è ambientato nella Tokyo del 2076.
Una città del futuro che somiglia molto alla somma delle città
del presente per un romanzo che sfrutta come fosse già mitica l’atmosfera
fantascientifica di un futuro posticcio e stereotipato nel quale sono
riusciti a scappare de-formati i giovani nati negli anni settanta, a singhiozzi
di sigle anni ottanta e razzi missili. Una fantascienza che ammicca a
quella più classica quando che sfrutta il futuro per descrivere
senza pregiudizio tutto lo sbando e l’orrore della condizione presente.
Il lettore intuisce fin dalle prime pagine che in questo futuro rintraccerà
molte cose di sé in comune con i personaggi, l’ambiente e
il mondo in cui è ambientata la vicenda di Actarus. Le intuizioni
felici sono molte, alcune partono da veri e proprio cortocircuiti lessicali
che ci restituiscono l’ossessione di un ambiente dove ogni cosa
è ‘tarata’ sul raggiungimento ottuso degli obiettivi
sciorinati dal Dottore nei suoi sermoni/prediche ai limiti dell’induzione
al suicidio, oppure la frase “Vai, distruggi il male vai!”,
che fa da intercalare insieme alle altre citazioni che Claudio Morici
utilizza al giusto momento, con maestria. Actarus è l’esempio
di come la narrativa, fantasticando sul futuro immaginato raggiunge potenzialità
di descrizione senza pari, le utopie negative (“1984”, “Fahreneit
451”) hanno fatto scuola. C’è il richiamo continuo
del Dottore all’essere UNITI, a cercare l’UNITÀ, nel
quale troviamo l’eco di altri e recenti ‘discorsi alla nazione’,
il pianeta Terra, infatti, viene trattato con metafore che ricordano con
sottile ironia gli Stati Uniti, che proiettati nel futuro divengono parabola
di un antiassolutismo tout-court; se il lettore in questo gioco fosse
disposto ad accettare una lettura del genere allora il divertimento diventerebbe
doppio, basti pensare ai possibili paragoni sul trattamento dei prigionieri
da parte degli abitanti di Vega, e della corrispettiva costruzione di
finte prove filmate, così simile allo spettacolo che a volte viene
inscenato dai mass-media che raccontano i retroscena dell’odierno
terrorismo.
Come si svolge la giornata del guerriero? Actarus fa i conti con le narrazioni
degli sfoghi di appetiti sessuali che gli fa l’amica Venusia, risponde
ai quesiti dei giornalisti che lo interrogano sulla sua vita in fattoria,
tra una puntata e l’altra, incalzando, immerso in una vita che esaspera
l’impianto del reality-show. Claudio Morici fa suoi i codici linguistici
e comportamentali del fumetto e del cinema, mescolandoli con quelli del
romanzo americano, i continui stacchi tra una puntata e l’altra
con gli interrogazioni su ciò che fanno i personaggi nei ‘neri’
tra una puntata e l’altra ricordano molto Glamorama, con un’ansia
da prestazione del supereroe che può essere mitigata soltanto dal
consumo spasmodico di birra, in un 2076 che somiglia tanto al 2006, per
non parlare del M.A.L.E., prima simile alla megastazione orbitante, arma
da guerra totale e finale da Starwars, e poi non definibile, una sorta
di depressione virale pronta per l’uso. La visuale che Claudio Morici
ha scelto per narrare la contemporaneità gli permette di affrontare
anche temi scottanti, basti pensare al suddetto militarismo, oppure alle
chat-dipendenze degli impiegati della fattoria.
All’interno della narrazione però, c’è una svolta.
Actarus comincia a riflettere sul suo ruolo, sull’ipotesi di una
fuga con ritorno a Fleed, il suo pianeta di origine. L’unica persona
che all’inizio può dar retta ai suoi discorsi è Alcor
(ti sei mai chiesto perché mi chiamano Alcol?), pilota di robot
e ex-alcolista. C’è qualcosa che non va nella Fattoria, tutte
le battaglie sembrano infinite ripetizioni dell’uguale, eterni ritorni
di sconfitte in plastica che preludono a vittorie effimere e momentanee.
Finché un giorno, Actarus, non incontrerà Roberta, bella,
anoressica, solidale. Tutto quello che accadrà tra quest’incontro
e la risoluzione della vicenda costituisce la seconda parte di questo
romanzo, una storia avvincente il cui finale sorprende e ci lascia, piacevolmente,
a bocca aperta.

|