Una discesa nel Limbo con le voci dei "Trovatori".
di Sante Maurizi
Virgilio conduce Dante <<nel primo cerchio che l'abisso cigne>>.
Siamo sull'orlo dell'imbuto infernale, oltrepassata la porta <<per
la città dolente>> e l'Acheronte, ma al di qua dei cerchi
e gironi del castigo eterno: non si odono lamenti di dannati, ma solo
<<sospiri, che l'aura etterna facean tremare>>. Eccoci dunque
sul bordo dell'Inferno. Sull'esterno lembo: nel Limbo. GLi infanti morti
prima del battesimo si accompagnano ai grandi dell'antichità
<<gente di molto valore>> come i patriarchi del Vecchio
Testamento, e poi fra gli altri Cesare, Aristotele, Platone, Cicerone,
Seneca. E quei poeti di <<cotanto senno>> fra i quali Dante
si compiace di essere sesto: Omero, Orazio, Ovidio, Lucano e lo stesso
Virgilio, il cui pallore aveva precedentemente rivelato la pietà
per la triste sorte di quelle onorevoli figure, e per la propria. Non
dannati, ma nemmeno destinati alla ricompensa eterna. <<Sospesi>>,
come dice Dante nell'unico verso in cui scrive <<limbo>>.
<<Una discesa al Limbo>> si intitola una delle sezioni che
compongono l'ultima raccolta di Gianni D'Elia, Trovatori (Einaudi, pp.
122, 11,50 euro). Luogo sospeso anchìesso, nel quale <<i
vivi stavano coi morti>> di un personalissimo catalogo. Poeti
come Fortini, Roversi, Pasolini, Loi, Caproni, Luzi, oppure Volponi,
Ingrao, Vittorini, e poi Giulio Einaudi, Mario Dondero, Laura Betti
e tanti ltri. Nomi noti accanto a un pantheon di privati affetti e amicizie:
perché <<che cosa è il Limbo, se non scesa al sogno/
delle figure amate in morte e in vita,/ con l'utopia, fiorita dal bisogno/
che un senso ignoto ci sia, un uscita?...>>. FIgure che spesso
rimettono in gioco ciò che si è stati, quel passato (i
Settanta, la politica, <<l'estetica del movimento generale>>)
con il quale D'Elia ama continuare a fare i conti con le proprie sue
armi: <<Non è finito il mondo, ma lo scriva,/ il mondo
+ tutto lì, oltre la riga,/ le voci non derivano dal foglio,
/il feticcio cartaceo è uno scoglio,/ vociferanti fummo, sì,
ma non chiari,/ non basta un'estetica fantasiosa,/ no, ci vuole una
politica per la rosa>>.
Ma il Limbo di D'Elia non è un campionario autocompiaciuto, né
mero espediente narrativo. La citazione dantesca dà forma a quella
che è forse l'idea più fresca e viva dell'intera raccolta:
i versi sono virgolettati talvolta per singolo endecasillabo, a mimare
- più che i personaggi - un contributo collettivo nel farsi della
poesia. Uno spartito per voci che muta la lettura in ascolto. E la terzina,
che già segnava la produzione più matura e recente di
D'Elia fino a esserne ritmo distintivo, acquista se possibile maggiore
energia: immerge in un teatro nel quale ci si sente agire, e non guardare.
Teatro vero e proprio, come nei primi versi dedicati a Marco Pantani,
pensati come didascalia di un immaginario spettacolo sul ciclista, con
gli attori in circolo sul palco e <<Al centro del cerchio, si
scopre pian piano...>> / <<Una bici da corsa, rovesciata...>>
/ <<COn le ruote che girano per aria...>>. E <<se
il reale è lingua orale, e il cinema/ lo scrive>> il teatro
è <<lingua orale della lingua orale>>: perché
<<di per sé, la parola è già un teatro...>>.
Endecasillabi, terzine: una fiducia quasi disarmante nella dicibilità
del verso. Qui sta anche la ragione del titolo della raccolta, l'omaggio
al <<parlar franco>> dei trovatori provenzali, culmine di
una tradizione che riuniva nel poeta anche il cantore e il musicista.
Una fiducia che diventa stile, sia nel dipingere un'epica minore, familiare,
o nel richiamare temi e inquadrature dell'amato Pasolini di cantieri
urbani e scavatrici, ma che D'Elia esercita nell'oggi con vigore: <<Torna
la linea del parlare, a fronte/ la linea dello scrivere impostato,/
Petrarca in retrovia, e Dante al fronte>>. E se in quel quarto
Canto dell'Inferno la parola chiave è <<onore>>,
qui è <<umano>> (umanistico, umanità, <<scrittura
che s'inumana>>): anche nel senso pietoso, vichiano, dell'inumare
quel <<padre di poesia e d'esperienza>> al quale è
dedicato il tenero ricordo della sezione <<La scomparsa>>.
Risuona qualcosa di profondamente italiano in questa raccolta di D'Elia.
Quel Dante che la innerva a più livelli nell'osare un palinsesto
del reale, del vivere questi anni pesanti di guerra e morte, delinea
uno spazio che conosciamo bene: quel paesaggio di colline marchigiane
che Piero della Francesca e Leopardi hanno variato in ritmo, e che appartiene
a quell'idea di civiltà italiana alla quale il pesarese D'Elia
è forse oggi in poesia il nostro più lucido contemporaneo.