Enrico Pietrangeli
su Orgianas di Daniela Bionda
Daniela
Bionda, attraverso la lettura de “Le torri del cielo” di
Danilo Scintu, dichiara di aver “strappato un velo” sulla
memoria di un popolo. Con lei riprendono forma e vita le nude pietre
di torri nuragiche, quali testimoni attraverso il tempo. Storia e leggenda
fecondano la sua fantasia in echi di lontani misteri che si ripropongono
accomunando tutta la perduta conoscenza di una primordiale, mitica umanità.
Un universo riprodotto o, meglio, la necessità di riprodurlo
nelle disposizioni architettoniche, ad evidenziare l’oltre, una
comune e remota origine astrale. La PTM Editrice, dapprima fautrice
di stimoli verso nuovi approfondimenti, diviene poi, per l’autrice,
approdo editoriale per dare alle stampe tre novelle in un volume. Ad
“Orgianas”, che si potrebbe considerare un romanzo breve,
fanno seguito altri due racconti: “Selene e l’ultimo rifugio”
e “Il viaggio di Kia”. Radicata, come il suo popolo, in
una cultura insulare, di antichi pastori guerrieri le cui origini si
percepiscono romanticamente, sussurrate dal vento lungo frastagliate,
aspre coste, ci narra di antiche tradizioni rappresentate in modo epico,
ma facendo ricorso a precisi contesti storici. Con Orgianas si tenta
di riprodurre un possibile scenario dell’invasione romana e conseguente
latinizzazione dell’isola. Nell’episodio di Selene ci s’inoltra
nella decadenza dei conquistatori e la successiva occupazione da parte
dei Vandali sull’agonizzante sfondo di un impero che, con Romolo
Augustolo, segna beffardamente la sua fine. Kia, infine, è ambientato
durante l’espansione dell’impero ittita ed i relativi contrasti
con i faraoni egizi. I shardana, popolo del mare e antichi migratori
dell’Asia minore, sono sempre presenti sullo sfondo di ogni narrazione.
Tradizione e mito si snodano attraverso antiche grotte, le Domus de
Janas, dove una benevola strega, o fata che si voglia, segue con apprensione
le sorti del suo popolo. Occupata ad impartire iniziatici misteri della
natura alle sue adepte, si bagna sovente alla Sacra Fonte per invocare
la Grande Madre ed il Dio Toro, predice eventi e non rinuncia persino
a strani infusi per fomentare l’incubazione di qualche visione.
Janas, Grande Sacerdotessa che somministra anche cure mediche, oltre
ad avere specifici poteri taumaturgici, indossa una tunica color porpora,
consona al prestigio del suo ordine e, a tal proposito, si evidenzia
che furono gli stessi shardana ad insegnare ai Fenici le tecniche d’estrazione
della porpora da un mollusco, ovvero la ”Corra”. L’autrice
descrive molto bene usi e costumi della quotidianità dell’epoca
in uno stile che assume, talvolta, tratti un po’ troppo documentaristici.
Spiega, peraltro, il tessuto sociale della sua isola, dalle città
stato delle coste all’entroterra, dove si trovavano tribù
come i sardi pelliti, artefici, attraverso la guerriglia, di una ferrea
resistenza ai tentativi di penetrazione perpetuati dai romani. Ricorrono
rituali magici e conoscenze esoteriche qua e là palesati come
patrimonio ed insegnamento tramandato da antichi popoli biblici, quelli
prima del diluvio. Funghi Mascau, stati di trance indotto ed erbe sul
braciere riportano a taluni sciamani che eravamo abituati a pensare
perduti, ma piuttosto tra le steppe asiatiche o le radure americane.
Lecci, agrifogli ed odorosi ginepri contornano nelle descrizioni la
tuttavia selvaggia e pulsante natura della sua amata Sardegna. Una certa
tensione da melodramma ravviva la trama quando si entra nel merito delle
vicende amorose e dei relativi lutti dei protagonisti. La risonanza
di Puccini si perde tra ultramillenarie pietre che celano, del vivere,
luoghi propri della stessa infanzia dell’autrice nel ricordo di
una nonna che intonava un’aria… La stessa nonna che, tra
una preghiera e l’altra, raccontava antiche filastrocche in sardo
arcaico su vestali ed i relativi riti in acque consacrate. Amore e morte
segnano il loro corso tra gli eventi ed infine personificano esaltazione
e tragedia con Nail, giovane guerriero vichingo che, divenuto mercenario
al seguito dei Vandali, approda in Sardegna per innamorarsi della vestale
Selene. L’amore che travolge ogni cosa, rinnega gli stessi dèi
e si erige sommo sacerdote incompreso dagli uomini e che per mano degli
stessi troverà morte. Amanti che si ritroveranno dentro un bozzolo,
avvinghiati in un eterno abbraccio; dapprima forgiati l’un l’altro
nell’amore carnale e poi nello sguardo di Uro, il falco che sorvola
il cielo guidando la loro vista all’unisono, laddove gli stessi
dèi scrutano il mondo.
Daniela Bionda, Orgianas, PTM Editrice – 2006