Luciano Pagano
A proposito di Angela. Su “Il correttore” di Elisabetta
Liguori.

“Perché
in tutti i mestieri, come nel nostro, puoi anche limitarti a fare lo
stretto indispensabile, a firmare quattro carte senza fantasia, in prestampato,
non oltre l'orario di ufficio, e pochi se ne accorgono. Oppure puoi
sputarci sopra l'anima, creare qualcosa di utile, cui la lettera della
legge aveva solo accennato. E non se ne accorge nessuno lo stesso.”
“Il correttore” (peQuod) è il secondo romanzo di
Elisabetta Liguori, il primo “Il credito dell'imbianchino”
(Argo), ci aveva presentato una narratrice insolita, attenta agli umori
e alle movenze dei suoi personaggi, oltre che descrittrice del mutamento.
L'autrice fa il cancelliere presso il tribunale dei minori della città
di Lecce. Nel romanzo vengono raccontate le indagini attorno ad un omicidio.
Una delle caratteristiche più notevoli della scrittura di Elisabetta
Liguori è senz'altro la sua capacità di descrivere gli
affetti e gli umori dei protagonisti, soprattutto quando questi ineriscono
alle invidie, ai malumori, agli scontenti, con tutto ciò che
comporta vivere una vita su piani sfasati, la facciata da mostrare e
tutto ciò che si agita al suo interno, l'amore nascosto, i desideri
inconfessati di un uomo che per lavoro è costretto a vivere lontano
dalla moglie, i segnali che la deuteragonista femminile, Angela, manda
al suo uomo, la figura del padre del protagonista e il rapporto con
la moglie fatto di distanze obbligate e riavvicinamenti così
distanti da sembrare fortuiti.
La descrizione degli scandali che ruotano attorno all'assassinato si
fa descrizione di un malcostume al quale il protagonista cerca di accostarsi,
grazie all'arma del cinismo e del disincanto, e ci riesce immergendosi
nella piccola provincia, mescolando i suoi pensieri, fortemente critici
e sempre umani ad un vissuto che cerca sempre di sfuggire, cacciandosi
in un'automatica solitudine.
In questo romanzo, a margine dell'assassinio e della ricerca di un colpevole
si osserva un fenomeno che turba il lettore, cioè l'assassinio
di molti luoghi comuni sorti attorno alle ceneri della coppia borghese.
Mettete da parte la coppia stereotipo lui-indagatore e “lei-che-lo-aiuta-a-capire-il-caso-e-capire-se-stesso”,
quelli di Angela sono veri e propri fendenti, certe volte più
acuti e rapidi di una qualunque delle trentotto coltellate che sentiamo
propagarsi come un'eco fin dall'inizio del romanzo e che via via si
sbiadiscono quanto più ci avviciniamo al termine della lettura,
con i ricordi che diventano sempre più nitidi con l'approssimarsi
del presente, come un semaforo che diventa verde d'improvviso. A volte
verrebbe da chiedersi, durante la lettura, se non sia più facile
interrogare criminali possibili oppure riuscire a tacere, e vivere ogni
giorno, di fronte al crimine del non poter essere soddisfatti, basti
pensare ai lacerti di dialogo nei quali emerge il desiderio di avere
un figlio da parte della coppia, desiderio attorno al quale si affastellano
tanti, troppi ragionamenti, fino a farlo diventare pensiero già
'storico', deviato sul possesso di un animale domestico – e anche
questo mai accompagnato da soddisfazione piena, turbato dai pensieri
sulla sterilità del protagonista che da fisica arriva a permeare
il suo spirito. Nel romanzo i capitoli in cui la storia viene ricordata
si alternano ai dialoghi al telefono tra il protagonista e Angela, sua
moglie, entrambi si comportano come reagenti chimici nei confronti della
realtà che li circonda, Elisabetta Liguori ci restituisce una
realtà nella quale il protagonista non smette di fare uso dei
suoi occhi di indagatore inesperto dinanzi al suo 'primo morto', dove
l'episodio narrato si trasforma in diagnosi e anamnesi allo stesso tempo.
Una realtà cerebrale? L'addensarsi e l'infittirsi dei pensieri
diventa un'ancora di salvezza, se ciò che viene osservato fosse
il nulla sarebbe difficile circondarlo di pensieri, atti mancati, ripensamenti;
l'ipotesi più probabile è che il protagonista si affacci
alla vita con lo stesso atteggiamento con cui si affaccia alla professione,
con il timore di non poter sbagliare perché non è concessa
una seconda chance, non tanto perché è difficile riesumare
un cadavere e ricominciare di nuovo, tornando a ritroso, quanto perché
una volta archiviato un caso e emesso un giudizio è impossibile
ritornare indietro senza perdersi in un processo di vera e propria archeoburocrazia.
Gli uffici piccoli come scatole, collegati da infiniti cunicoli, sono
meandri del pensiero. “Perché uno che ama non può
uccidere? Tu che ne dici?”. Procedendo nella lettura, d'improvviso,
non si può più fare a meno dei due personaggi, l'autrice
gioca e ci fa giocare con un meccanismo di sospensioni, un fitto scambio
e spostamenti di pezzi, come nel lego, “chi sarà l'assassino”
ci si chiede all'inizio con il protagonista...ma è importante?
Gli ultimi ricordi sono quelli personali, in cui il protagonista descrive
più a fondo il rapporto con Angela, figura che acquista sempre
più importanza. Angela occupa un posto di rilievo, come una Penelope
distante tesse il filo del racconto, seguiamo la sua storia perché
è lo specchio del cambiamento del protagonista. Elisabetta Liguori
con “Il correttore”, riesce a imporsi con un cambiamento
di registro su un genere, quello noir, che mai come ora si
conferma essere uno dei modi più lucidi per descrivere la realtà,
fatta di coppie che vivono distanti e di molta incertezza nei confronti
del futuro, dovuta quest'ultima al fatto che il rapporto con le figure
del passato è tuttora un gioco aperto. Un romanzo, "Il correttore",
che ci lascia con diversi interrogativi circa la nostra esistenza, ricordandoci
che, kafkianamente parlando, l'inspiegabilità della legge non
è qualcosa che attiene soltanto ai tribunali.