 Pasquale
Iannucci
Kiesalesa
- Sei sicuro di volerlo tirare dentro? - disse
Giasone.
Il Duca si accese una sigaretta. Sgranò gli occhi e esalando fumo
dalle narici, scosse il capo.
- Ascolta - disse - Lo so che non è molto affidabile ma ha un lavoro
e un lavoro sono soldi. Noi tre non riusciremo mai a versare quella cazzo
di caparra...E' un dato di fatto.
Giasone prese una Bavaria dalla cassa ai suoi piedi. L'aprì.
- E Scintilla? - chiese poi.
- Dovrebbe arrivare tra poco...
- No, intendevo, Scintilla che dice?
- A Scintilla va bene tutto. Lo sai.
Giasone annuì. L'idea gli frullava nella testa già da un
po' di tempo. Ogni tanto ne avevano anche parlato. Così, tra una
sbornia e l'altra. Poi c'era stata l'estate e i vagabondaggi in treno
e ne riparliamo a settembre, s'erano detti.
Adesso, con le prime giornate di pioggia e nessun posto dove andare, il
bisogno di avere un luogo si era fatto sentire con maggiore insistenza.
L'immobiliare di Viale Lucania affittava uno scantinato in Via della Chiesa
che era l'ideale. Ovviamente avrebbe avuto bisogno di una mano di vernice
e qualche lavoretto ma era tutto risolvibile.
Il problema più grosso erano le licenze. - Per quelle - disse Giasone
- ci vogliono un sacco di soldi.
- Ma se noi apriamo un'associazione culturale aggiriamo il problema -
annunciò il Duca.
- Mi sono informato.
Il Duca era pragmatico. Vendeva dischi e aveva una cifra di contatti fra
gruppi punkrock e case discografiche indipendenti. Avrebbero potuto organizzare
concertini e vendere alcolici scavalcando tutta la burocrazia. - Bisogna
trovare il modo di stare sul limite - amava ripetere - Né legale
né illegale. La cosa è fattibile. Non ve la menate.
I presupposti perché il progetto funzionasse c'erano. Bisognava
solo darsi da fare.
Scintilla ne fu subito entusiasta. Si trattava di mettere insieme i soldi.
In tre arrivavano a malapena a coprire la metà delle spese.
- Ragazzi - disse il Duca - è l'unica soluzione.
Scintilla era arrivato da qualche minuto e no, io non sono d'accordo.
Vi rendete conto di quello che dite?
Giasone finì la birra e si accese una sigaretta. - Si "fa"
ancora? - chiese.
- Che domande fai? - sbottò Scintilla. - Certo che si "fa"
ancora. Perché dovrebbe smettere?
- Non lo so - si strinse nelle spalle l'altro - Era così, tanto
per chiedere.
Il Duca rimase in silenzio. L'ostilità di Scintilla gli giungeva
nuova. Per una frazione di secondo considerò di abbandonare tutto.
Cosa ci faceva lì, a fare progetti con quei due?
Erano amici ma non gli ispiravano la minima fiducia. Scintilla viveva
in un mondo tutto suo. Giasone si manteneva vendendo poesie e racconti
che scriveva e rilegava lui usando Word. Se ci uscivi insieme non sapevi
mai come poteva andare a finire. E, non contento, progettava di coinvolgere
anche quell'altro. Un mezzo tossico autistico che era in astinenza un
giorno sì e uno no. - No, dico - pensò - sto impazzendo?
Perché non mi cerco dei soci più affidabili?
Guardò l'orologio. - Comunque - disse - Enea doveva essere già
qua.
- Ah... - fece Scintilla.
- Bè, iniziamo a parlargliene. Poi vediamo.
- Per me va bene - disse Giasone.
E va bene anche per me, mugugnò Scintilla. Stiamo a vedere.
Enea arrivò al parco che era ormai buio. Vedendo che le birre stavano
per finire, si propose per andare al supermercato.
- Tanto stasera non lavoro - disse - E non preoccupatevi, mando io che
c'ho il cash.
Enea scaricava camion per dodici ore a notte, in Dhl. Di giorno, quando
non dormiva, faceva il cavallino per gli spacciatori di Via Ripamonti.
Così, a tempo perso.
Nessuno se la sentì di rifiutare. Scintilla si offrì anche
di accompagnarlo in macchina.
- Occhi a spillo - commentò Giasone, mentre la Panda si allontanava.
- Dici che è sgommato?
- Garantito.
Rimasero in silenzio a fumare e a passarsi l'ultima Bavaria calda. Dopo
un quarto d'ora Scintilla e Enea furono di ritorno con tre bottiglie di
vino e un cartoccio di Heineken da quattro. Enea si fiondò fuori
dall'auto vomitando a spruzzo davanti a sé. Scintilla teneva in
mano una bottilgia di vino e shanti, barcollò, va tutto bene.
- Ho capito - disse Giasone - Stasera, cionca.
- Cionca - rise il Duca - Io ho le valvole già aperte.
Si salutarono alle quattro del mattino. Tra una vomitata a spruzzo e l'altra,
Enea si scoprì interessato alla cosa e quindi occhei, facciamo
l'associazione culturale.
Diffondere cultura è la missione della mia vita, disse. Ma ci vuole
un presidente e chi fa il presidente dell'associazione?
Enea, farfugliò qualcuno. Enea è il presidente dell'associazione.
E giù a ridere e bella lì Enea. Adesso sei una persona importante.
Vero ma scusatemi, devo vomitare. Ma come la chiamiamo?
Boh, disse Scintilla, non ne ho la minima idea.
- Kiesalesa - dichiarò Giasone. - Con la cappa. Via della Chiesa...Kiesalesa...capito?
Quindi, manate sulle spalle e bravo Giasone. Kiesalesa mi piace.
Vedrete, non ce ne pentiremo.
Il pomeriggio dopo andarono all'immobiliare a versare la caparra. Il proprietario
dell'agenzia consegnò loro le chiavi e complimenti, disse, avete
fatto un vero affare. Sembrava una presa per il culo ma lasciarono perdere.
Avevano il posto. Dovevano solo mettersi al lavoro.
In discarica recuperano due poltrone, un banco da bar, un frigorifero,
sedie e tavoli. Quindi passarono ad imbiancare le pareti e la stanzetta
dei concerti la insonorizziamo con i cartoni delle uova. L'atto costitutivo
dell'associazione lo stilarono qualche giorno dopo. L'associazione era
culturale e non a scopo di lucro. Presidente, Enea. L'accesso ai locali
siti in Via della Chiesa sarà consentito solo ai soci, si leggeva.
È vietata la vendita di alcolici e lo svolgimento di manifestazioni
pubbliche. Si potranno, altresì, svolgere attività culturali
in forma privata. Firmarono e controfirmarono tutti e quattro. Poi pagarono
il notaio e tornarono al lavoro. Kiesalesa era uno scantinato posto sotto
il livello della strada. Si trattava di due stanzette che, in tutto, misuravano
sessanta metri quadri circa. Per entrarci bisognava scendere tre gradini.
La porta era grigia, di ferro.
Kiesalesa diventò operativa nel giro di un mese.
Kiesalesa era un bar. Una specie di centro sociale. Kiesalesa era tutto,
ma non un'associazione culturale. Di cultura, lì dentro, se ne
fece davvero poca. Per lo più concertini punkrock a pagamento e
grandi bevute.
Giasone e Scintilla formarono anche un gruppo di musica sperimentale.
Gli Ecchimosi.
La prima esibizione pubblica decisero di farla lì.
Si sbatterono una settimana per recuperare il materiale e stampare i volantini
e scegliere i brani da suonare.
Il giorno del concerto era tutto pronto. Bisognava solo convicere Enea
a rimettersi i pantaloni.
Non avendo un posto dove andare a dormire si era trasferito in Kiesalesa.
Gli altri avevano deciso, a malincuore, di lasciargli le chiavi. In fondo,
si dissero, è pur sempre il Presidente. Come possiamo dirgli di
no?
Quando Enea non dormiva, o era in Via Ripamonti o si aggirava per il locale
in mutande, strimpellando la chitarra e guardando male tutti. Poi, lasciò
il lavoro.
- Ma sei sicuro? - gli chiese il Duca - Cosa farai adesso?
Il Presidente era seduto a terra, in mutande. In braccio, la solita chitarra.
Alzò la testa.
- Questi,- disse,- sono cazzi miei.
- Bè,- fece l'altro,- scusa tanto. Era così, tanto per sapere...
Anche quel giorno non andò diversamente. Giasone e Scintilla avevano
fatto avanti e indietro tutto il pomeriggio. E sistema le casse, l'amplificatore
e corri alla Metro a fare la spesa. Quindi, proviamo.
Tutto questo sotto lo sguardo torvo e incazzato di Enea.
- Digli qualcosa - disse Scintilla, ad un certo punto.
- A chi? - chiese Giasone.
- Come a chi? Al Presidente! Non vorrai mica lasciarlo in quello stato,
vero?
Giasone guardò Scintilla poi, Enea. Quindi, l'orologio. Mancavano
pochi minuti alle ventuno e nel giro di tre quarti d'ora sarebbe iniziato
tutto. - Scusa Enea...- azzardò, alzando l'indice della mano destra.
- Tra un pò inizia ad arrivare la gente.
La chitarra tacque. Enea alzò gli occhi verso Giasone che indietreggiò
di un passo.
- Ma cosa cazzo volete? Perché non mi lasciate in pace?
E detto questo si alzò, lanciò la chitarra contro il muro,
si rimise i pantaloni ed uscì.
- Bè,- commentò Giasone,- almeno un risultato l'abbiamo
ottenuto...
- E sarebbe? - chiese Scintilla.
- Si è rimesso i pantaloni.
- Mah...
Alle dieci di sera Kiesalesa era stipa di gente.
Mentre Gli Ecchimosi si esibivano, il Duca si occupava del bar. Del Presidente
nessuna traccia. Giasone e Scintilla sfornarono tutto il loro repertorio
e, nonostante la stranezza di alcuni pezzi, riscossero un grande successo.
Enea si rifece vivo alle tre del mattino. Con lui, tre arabi.
- Questi,- disse indicandoli,- sono Rashid, Mohamed e Asdìn, tre
miei amici.
Le ultime persone presenti nel locale, uscirono. Giasone guardò
il Duca che guardò Scintilla che, facendo un cenno con il capo
disse:- Bella lì.
- Sei scemo? - gli bisbigliò Giasone. - Cerchiamo di non incoraggiarlo.
Enea andò al frigofero e prese le birre per sé e per i suoi
amici. - Ci facciamo una spaghettata? - chiese poi.
Giasone e il Duca si guardarono e no, grazie tante ma noi andiamo. Scintilla
ripeté bella lì e io c'ho giusto fame. Ma come li cuciniamo?
Accendiamo un fuoco, disse Enea. I tre arabi avevano portato delle loro
specialità che andavano solo riscaldate. E quindi via, mettiamoci
al lavoro.
Il Duca e Giasone sbuffarono e va' che tu sei fuori, mormorarono a Scintilla.
- Non vedi che sono tre pusher?
- Tranquili raga! - biascicò Scintilla - E' tutto sotto controllo.
- Io non ne voglio sapere niente - disse il Duca.
- Andiamo - fece eco Giasone.
I due si dileguarono in strada mentre Enea sfasciava una sedia. - Legna
per il fuoco!- urlò.
- Ma dove lo accendiamo? - chiese Scintilla.
- Là - rispose il Presidente indicando il pavimento.
- In terra?
- Esatto, in terra. Poi puliamo.
Nel frattempo, i tre arabi si erano accomodati sulle poltrone e discutevano
animatamente di qualcosa nella loro lingua. Poi iniziarono a litigare
e uno dei tre minacciò gli altri due con la bottiglia.
Enea si mise in mezzo e cercò di calmarli. Offrì a tutti
un altro giro. E prepariamo da mangiare, disse.
- Venite.
Si radunarono intorno ai resti della sedia. Scintilla avvicinò
l'accendino a un pezzo di legno e provò una volta. Due, tre. Ma
no, prendi un pezzo di carta e prova con la carta. Scintilla prese un
foglio di giornale, gli diede fuoco e lo avvicinò al mucchio. Provò
e riprovò ma non ci fu verso.
Niente. La legna non voleva saperne, di bruciare.
Ci dovrebbe essere dell'alcool disse il Presidente. - Da qualche parte
ci dovrebbe essere una bottiglia di alcool - ripeté.
Si alzò e si mise a rovistare in giro. Scintilla cercava di socializzare
con gli arabi parlando del più e del meno. Quello che aveva brandito
la bottiglia, asseriva di essere nipote del re del Marocco. Quando lo
disse, gli altri due scoppiarono a ridere. Lui, li guardò in cagnesco
e agitando nuovamente la bottiglia li minacciò in arabo. Scintilla
disse shanti. - Perché litigate?
- Sono invidiosi di me - latrò il nipote del re.
- Come mai sei venuto in Italia? - chiese Scintilla.
- Per lavorare all'ambasciata di Roma.
- E cosa ci fai a Milano?
- Cerco di raggiungere Roma
- Bella lì,- disse Enea agitando una bottiglia di alcool,- ho trovato
il combustibile.
L'aprì e annusò. - Questo non è alcool,- disse,-
è benzina.
- Che ci fa della benzina nella bottiglia dell'alcool? - chiese Scintilla.
Enea alzò le spalle. - Boh...Fa niente, meglio così. Adesso
levatevi.
Si fecero tutti da parte. Enea annaffiò la legna quindi, si accovacciò
e appiccò il fuoco.
- Visto? - indicò il falò, soddisfatto. - Scintilla, prendi
la pentola con l'acqua.
Scintilla recuperò la pentola e la riempì. Poi, la mise
sul fuoco. Si sedettero sul pavimento, in circolo. I tre arabi parlavano
tra di loro gesticolando e bevendo birra. Enea prese la chitarra e si
mise a suonare.
Il nipote del re del Marocco gli disse di finirla. - Ho mal di testa -
disse - E perché rompi il cazzo con quella chitarra?
Enea non rispose. Si limitò a smettere di suonare e ripose la chitarra
in terra, alla sua destra. Il fuoco si stava spegnendo e aveva bisogno
di una ravvivata. Così si alzò, prese la benzina e fu un
attimo.
Uno zampillo rosa fuoriscì dal beccuccio rosso e andò a
perdersi tra le fiamme. Ne tornò indietro una lingua di fuoco che
si propagò all'interno della bottiglia.
Enea sentì solo le mani scottare.
Bestemmiando lanciò la bottiglia davanti a sé e swishhh,
il nipote del re del Marocco si trasformò in una torcia umana.
Non disse nulla. Non gridò né niente. Si limitò a
balzare in piedi colpendosi il torace con le mani in fiamme. I suoi amici
cercarono di fermarlo e urlarono e dissero cose incomprensibili.
Scintilla e Enea rimasero fermi, pietrificati.
La torcia umana corse verso la porta e si catapultò fuori. Adesso,
in mezzo alle fiamme, c'era qualcuno che gridava.
- PRENDETELO! FERMATELO! BISOGNA FARLO ROTOLARE A TERRA!
Scintilla s'era come risvegliato da un lungo sonno. La sua voce, in mezzo
al caos, suonò roca e irreale. Enea continuò ad osservare
tutto con aria assente. Come attraverso uno schermo.
O a migliaia di chilometri di distanza.
I due arabi fecero per correre dietro all'amico. Arrivati davanti all'uscio
si fermarono e si girarono verso Enea. - Che bisogno c'era di dargli fuoco?
- disse uno - Aveva chiesto per favore...Lui detto che aveva mal di testa!
Perché lo vuoi uccidere?
Enea riuscì solo a balbettare e non volevo e io non l'ho fatto
a posta e davvero eccetera eccetera.
Ma i due avevano già emesso la sentenza. - Sei morto.
Quindi, se ne andarono. Scintilla, dietro.
Enea rimase basito, al centro della sala. Ai suoi piedi il fuoco andava
spegnendosi. Tutt'intorno odore di benzina, pollo arrosto e plastica bruciata.
Si portò le mani alla testa e cadde carponi sul pavimento.
- Sei morto - eccheggiò una voce nella sua mente.
Eppoi le immagini. La polizia, le domande e gli arabi. Tutti gli amici
del nipote del re del Marocco. E i suoi, di amici.
Fuori, la gente s'era affacciata alle finestre e ai balconi ed era scesa
in strada attirata dalle urla.
Il nipote del re del Marocco correva lasciandosi alle spalle una scia
luminosa. Scintilla e gli altri due arabi gli corsero dietro, insieme
ad altre dieci persone, per un chilometro e mezzo.
Poi, come se avesse esaurito le batterie, la torcia umana stramazzò
al suolo. Qualcuno lo raggiunse e gli gettò addosso una coperta
e lo fece rotolare avanti e indietro un paio di volte.
Una nube di fumo si levò da sotto la coperta dissolvendosi nell'aria.
Una donna tirò fuori un cellulare e io chiamo la polizia, disse.
E forse è meglio chiamare prima l'ambulanza, propose una voce.
Un uomo guardò i due arabi. Poi, Scintilla. - E' un vostro amico?
- chiese.
Gli arabi scossero la testa e no, non lo conosciamo, dissero. Abbiamo
visto la luce e il fuoco e sentivamo le grida e volevamo capire chi era
che gridava ma no. Noi non c'entriamo niente. - Vero? - si rivolsero a
Scintilla.
Lui disse eh? E:- Ah, già. E' proprio così.
L'uomo guardò tutti e tre per qualche secondo. Guardò il
corpo semi carbonizzato. Guardò Scintilla e di nuovo i due arabi.
- Comunque, - disse,- è meglio se aspettate l'arrivo della polizia.
Gli arabi annuirono. Scintilla pure e non c'è nessun problema,
disse. Shanti.
Ma quando in lontananza apparvero i lampeggianti blu e l'eco delle sirene
giunse alle loro orecchie, i due arabi, aiutati dalla confusione che si
venne a creare, si defilarono velocemente.
Un pò più giù, nella direzione opposta, Enea avanzava
a lunghe falcate nel nulla. Era schizzato fuori da Kiesalesa in preda
ad una frenesia che lo pervase per parecchio tempo. Era il senso di colpa
e la paura e la consapevolezza che niente sarebbe più stato lo
stesso. Pensò al nipote del re del Marocco e chissà se lo
era davvero, si chiese. E nello stesso istante si rese conto di aver pensato
a lui al passato. Come di qualcuno che non c'è più. Ma magari
è sopravvissuto, pensò. Magari è solo un pò
ustionato. Tutto qui. E cosa cazzo ne sapevo io che andava a finire così?
Perché li ho portati lì? E forse dovrei tornare indietro.
Andare a controllorare. Chiedere scusa...No, non esiste. Figurati se accettano
le mie scuse. Come minimo mi ammazzano. Non è gente che perdona,
quella. E gli altri? Cazzo, mi odieranno a morte. Ma vaffanculo, chissene
fotte. Tanto non sono mai stati dei veri amici. Di quelli non ne ho mai
avuti, io. Non ho mai avuto niente. Né famiglia, ne casa, ne altro.
- Devo andarmene - disse ad alta voce. Poi, tacque.
E filare via, riprese a pensare. Da qualche parte. Un posto vale l'altro.
Purché sia lontano. Il più lontano possibile. In Francia
o in Algeria, magari. Ma mi va bene anche la Puglia.
Qualunque posto, purché sia lontano...
Il telefono di Giasone squillò nel momento esatto in cui Enea entrava
in stazione.
Giasone aprì l'occhio destro e guardò la sveglia sul comodino.
Le sei e un quarto.
Altro squillo. Richiuse l'occhio e merda, disse. Chi è che rompe
le palle a quest'ora?
Sbuffando si alzò e si diresse in anticamera. Quando Giasone appoggiò
la mano alla cornetta, l'apparecchio squillò per la terza volta.
Sollevò il ricevitore.
- Pronto? - gracchiò.
- Giasone?
- Sì, sono io. Chi parla?...Scintilla? Sei tu?
- Sì. Sono in questura...
- Eh?!
- Ascolta, ci sono stati dei problemi in Kiesalesa.
Giasone si sentì gelare dalla testa ai piedi. Afferrò la
cornetta nella mano sinistra e, barcollando, si puntellò al muro
con la destra. Un arto invisibile gli perforò lo sterno torcendogli
i polmoni e le budella e il cuore saltò un paio di battiti. Inspirò
a fondo. Soffiò.
Scintilla disse ehi, ci sei ancora? Tutto bene?
- Che...che tipo di problemi? - balbettò Giasone.
- Eh...- tentennò Scintilla - Il Presidente...
Un secondo.
Due.
Tre.
- Allora? - sbottò Giasone - Il Presidente, cosa?
- Il Presidente...insomma, stavamo facendo da mangiare e...la benzina,
c'è stato il ritorno di fiamma e...vedi, non credo l'abbia fatto
apposta...poi boh, è scappato e adesso è morto. Stecchito!-
lo disse così, tutto d'un botto. E adesso te l'ho detto, aggiunse.
Non è che verresti a prendermi? Mi stanno facendo un sacco di domande.
E...
Ma Giasone non lo lasciò finire. - Io non c'ho capito un cazzo!-
disse.
- Oh merda,- singhiozzò Scintilla,- Ho detto che il Presidente,
Enea, il nostro amico, ha dato fuoco al nipote del re del Marocco che
è stecchito. Morto, capisci? Ci sono gli sbirri che mi stanno facendo
un sacco di domande...Ma io non c'entro niente. Non è colpa mia,
Giasone! Ti prego, sono distrutto...vedessi che schifo...ho lo stomaco
sottosopra, sto male...
E dall'altra parte ci fu solo silenzio. Scintilla sentì respirare
a fondo e sbuffare e mormorare bestemmie. Allora, ripeté, che fai?
Mi vieni a prendere o cosa?
- Occhei,- rispose Giasone,- arrivo. Ma credo che sia meglio avvisare
prima il Duca.
- Bravo, che si sbatta un pò anche lui. In fondo, è stata
un'idea sua coinvolgere quel fulminato di Enea...
- Scintilla, per favore, sta' zitto! Stiamo arrivando.
Vi aspetto disse Scintilla. - Fate presto.
- Fanculo. Dovremmo lasciarti lì.
Giasone riagganciò e, subito dopo, risollevò il ricevitore
e compose il numero del Duca.
Venti minuti dopo, una fumata nera sfrecciava in tangeziale est. Direzione
centro. Davanti alla fumata nera, una Renault 5 blu.
- Li ammazzo - urlava il Duca. - Ti giuro che questa volta li uccido!
Il nipote del re del Marocco...ma che cazzo di storia è?
Giasone non diceva nulla. Ascoltava e no, non se la sentiva di dirgli
calmati o non te la prendere e tutte le frasi di circostanza. Condivideva
quella rabbia. Era quasi tentato di fomentarla.
- DOMINIO E SOTTOMISSIONE - asseriva un adesivo attaccato sul cruscotto.
Giasone lo lesse più volte. Guardò il Duca. L'anello a forma
di teschio che portava al medio della mano destra baluginò nel
buio. Giasone sapeva come la pensava a proposito della vita. Il Duca aveva
un'idea ben precisa di come dovessero andare le cose. Non era un mistero.
Dominio e sottomissione, pensò Giasone. Un modo semplice ma efficace
per classificare gli esseri viventi. Umanità compresa. Non ebbe
dubbi in quale categoria rientrasse il Duca. Comunque si mettessero le
cose lui, se la cavava sempre. E non erano gli slogan pseudonazisti o
la croce di ferro e tutte le altre cazzate. Quella era la scena. Pura
provocazione.
Niente di che.
Quello che differenziava il Duca da tutta la gente che conosceva era altro,
rifletté Giasone. Il Duca non stava fermo ad aspettare. Il Duca
agiva veramente. Tutti erano lì, fermi, blaterando su questo e
su quello. Il Duca no. Non ce la faceva. Era più forte di lui.
Per quello che ne sapeva Giasone, sarebbe stato capace di uccidere veramente
Enea e Scintilla. Non si sarebbe stupito più di tanto. Anzi, quasi
se lo aspettava.
Quando giunsero in questura Scintilla sedeva sulla gradinata esterna.
Li vide, si alzò e li raggiunse. Il Duca mantenne il motore acceso.
L'insegna luminosa della farmacia dall'altra parte della strada lampeggiava
le sei e cinquantacinque. Ormai, s'era fatto giorno.
Giasone scese e, alzando il sedile, si mise a sedere dietro. Scintilla
montò in macchina.
Nessuno parlò per parecchi minuti. Fu Giasone a rompere il silenzio.
- Allora?
Scintilla sbuffò e si passò la mano destra sulla faccia.
- Che devo dire? E' successo quello che è successo, punto. Non
c'è molto da aggiungere...
- Che cazzo stai dicendo? - fiammeggiò il Duca. - Tu adesso ci
fai un resoconto dettagliato e anche subito!
Piazzale Corvetto era già intasato di auto. Scintilla abbassò
il finestrino e si sporse. Poi, rientrò. - C'è un cinese
laggiù.- disse - Vediamo se è aperto? Voglio un involtino
primavera.
- Alle sette del mattino? - chiese Giasone.
Scintilla abbassò la testa e si contemplò le mani. - Ieri
sera non ho cenato - mormorò.
Il Duca disse va bene. Mangiati pure il tuo cazzo di involtino.
Ma il ristorante cinese era chiuso e furono costretti a ripiegare sul
bar a fianco. Entrarono e ordinarono caffé e brioches e comprarono
le sigarette. Quindi, si sedettero.
- Insomma,- attaccò Scintilla, - è andata come ho detto.
Il Presidente, Enea, ha dato fuoco al nipote del re del Marocco.
- Come il nipote del re del Marocco? - chiese il Duca.
- Così ha detto quello. Cazzo ne so io. Ha detto di essere il nipote
del re del Marocco...perché, secondo te non è vero?
- Ma ti pare possibile?
- Boh...
- Quelli erano tre spacciatori!- intervenne Giasone - Non essere idiota.
Per Scintilla la cosa era credibile. Magari è vero, disse. E chissà
se adesso scoppia la guerra. E' pur sempre un incidente diplomatico e
via dicendo. Ma a noi non ce ne frega niente, urlò il Duca. Dicci
come è andata. Che ti ha detto la polizia?
Scintilla raccontò la dinamica dell'incidente e la polizia non
mi ha detto niente. Parleranno con i propietari del locale e cercano Enea
e gli altri due arabi e comunque Kiesalesa è chiusa, finita.
- Cioè? - lo interrogò Giasone.
- Eh, hanno messo i sigilli dappertutto. Non credo che potremo riaprire
tanto presto...
Il Duca sospirò e diede un paio di colpetti al tavolo, con l'anello.
- E Enea? - chiese.
- Enea è sparito. Si è volatilizzato subito dopo il ciocco.
Gli arabi hanno detto che lo uccidono. Non credo che lo rivedremo tanto
presto.
- La vuoi finire con tutti 'sti "tanto presto"? - s'innervosì
Giasone - Kiesalesa è defunta e Enea se l'è squagliata.
Tutto qui.
Anche il Duca la pensava così. Era inutile farsi illusioni. Dovevano
solo sperare che non li ritenessero responsabili del fatto. Era già
tanto se riuscivano a venirne fuori indenni.
- E comunque, - aggiunse,- se trovo Enea, lo uccido. Vi giuro che lo faccio.
Giasone e Scintilla non dissero nulla. Forse era vero e forse no. Non
avevano nessuna voglia di scoprirlo. Volevano solo tornarsene a casa.
Andare a dormire.
Il Duca riconsegnò le chiavi all'immobiliare quello stesso pomeriggio.
L'impiegato lo accolse freddamente e lo fece accomodare nel suo ufficio.
E avete combinato proprio un bel casino, disse mettendogli sotto il naso
un articolo di giornale. Il Duca tirò fuori il mazzo e lo appoggiò
sul tavolo. - Mi dispiace.- disse.
L'impiegato lo invitò a sedersi. E leggi l'articolo, disse. Cazzo,
giovani, ma dove avete la testa?
L'articolo diceva che c'era stato un incidente in cui aveva perso la vita
un cittadino extracomunitario. Parlava di Kiesalesa e citava fonti della
polizia. Cercavano il Presidente dell'associazione culturale e due arabi
presenti al momento del fatto. Parlava di omicidio colposo e dei clandestini
eccetera eccetera.
Il Duca finì di leggere, rimise l'articolo sul tavolo e, con due
dita, lo spinse verso l'impiegato.
- Non so davvero come scusarmi. Davvero, mi dispiace un casino...
- La prossima volta se li scelga meglio, i soci.
Il Duca si limitò ad annuire e adesso devo andare, disse. E scusi
ancora e buongiorno.
Eppoi si ritrovò in macchina a vagare per la città.
Il caso venne archiviato qualche mese dopo. Il nipote del re del Marocco,
rimase tale. Non fu mai identificato. Così come i due arabi che
quella sera erano con lui.
Enea fu accusato di omicidio colposo e condannato a tre anni di reclusione.
Pena che però non scontò mai. Il suo corpo riaffiorò
dai Navigli in secca la primavera dell'anno seguente. Venne identificato
con l'esame del DNA. Dissero che era stato ucciso. Strangolato con del
fil di ferro. Poi, gli avevano legato dei pesi alle caviglie e lo avevano
gettato nel canale.
Scintilla finì di leggere l'articolo, ripiegò il giornale
e lo ripose sulla sedia accanto alla sua.
Giasone ordinò una birra e si accese una sigaretta. Si guardarono.
- Secondo te,- disse Scintilla abbassando la voce,- sono stati gli arabi
o...
- Non dirlo - lo interruppe Giasone - Non dire più niente. Non
lo voglio sapere. Non mi interessa.
Restarono così, in silenzio. Tutt'intorno la gente parlava di lavoro
e calcio e consumava alcolici, sigarette e cibo.
Fuori la pioggia continuava a cadere senza sosta.
Quando arrivarono le birre le osservarono per alcuni secondi. Come se
non avessero mai visto niente di simile. Giasone prese la sua e la allontanò
mettendola al centro del tavolo. - Non mi va di bere - disse.
Scintilla fece lo stesso. - Neanche a me...Andiamo al cinese a farci un
pollo?
Giasone spense la sigaretta. - Vada per il pollo - disse.
Si alzarono, pagarono ed uscirono.
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