 Beatrice
Protino
Soundwalk.com / passage number one: perché si può sempre
andare oltre
Ciao sono IO e questa è la mia macchina arrugginita
che corre tra le mie nebbie. Ha i freni bruciati e il carburatore che
mi bestemmia dietro, mi sfotte.
Qualsiasi cosa tu stia facendo, interrompila e seguimi.
Ascolta la musica: è rock, puro rock, un rock lento che non ti
obbliga a niente, eppure ti scava nel sangue come può farlo una
dolce malattia immaginaria, troppo educata per essere vera, troppo poco
angosciante per lasciare che la tua vita scorra nel male, eppure un po’
slabbrata, grattata: quanto basta per lasciare segni indelebili.
Guardala un po’ quest’auto di fianco: ha cento dipinti che
non ho ancora fatto, rimangono sempre a guardarsi intorno un po’
spauriti, come se io potessi distruggerli o, peggio, dimenticarli e sembrano
odiarsi tra loro. Ti piace? È sempre un po’ da rifare, ma
ti accoglie se chiedi permesso? buongiorno, con tanto di sorriso. Entra
e prendi un po’ il volante: portami a nord.
Ricordi quei viaggi di notte che sembravano portarci in mille galere?
ricordi l’alcool e il ronzio nelle viscere frustate? ricordi l’amico
che avevamo conosciuto alla disco e che sapeva di dopobarba sudato? girasti
a destra all’incrocio del labirinto di facce tutte uguali e dicesti
merda mo’ vomito, però poi niente, ti rimase tutto dentro.
Quanti anni ti sei fatto nel manicomio di quei pensieri? Andavi piano
avanti e indietro con le braccia pendenti in tre metri quadrati senza
mai un lamento, eppure globuli e linfociti abbaiavano ehi! è la
tua vita che mandi a puttane! Ma tu rimanevi in silenzio.
Adesso fermati un attimo e guarda. Lo vedi quel gruppo? Lì stanno
tutti bevendo. La vedi la bava che scola da ogni fessura? Ciascuno di
loro ha una lumaca che succhia le viscere, pulisce ogni angolo e spigolo,
fuma per riflettere, rutta per digerire, canta e sputacchia. Lo chiamano
essere vivi, si, stare in giro, insomma.
Quel ragazzo lì coi buchi sul naso fa il barbiere e studia la mossa
del cobra per strangolare la gente che ride senza motivo. Quell’altro
che porta il cappello ha cento ragazze messe tutte su file e si diverte
a rigirarle lì dentro per sentirne le urla e lo spasmo, fino alla
morte. Se invece ti avvicini a quella ragazza coi pantaloni negli stivali
ti dice ciao che si fa? e se poi gliela butti lì la risposta ti
dice no guarda ci sono stata ieri ed è squallido, per cui non perderci
il tempo.
Gira un po’ a destra, ti porto nel mio quartiere. Scendi dalla macchina
e conta cento passi, poi fermati.
Da qua puoi guardare la mia gente: occorro secoli per incontrarli tutti
e ognuno, perché fanno sei turni coi loro silenzi e giocano a carte
senza mai ricordare che devono pure pisciare. Vai fino all’angolo
che ti trovi sulla sinistra. Se hai tempo, devi assolutamente entrare
in quel negozio con la scritta led arancione: c’è musica
altissima che chiamano le parole che non ti ho mai detto e la cassiera
ha la voce stridula e porta la giarrettiera che si vede da sotto, ma i
suoi occhi rotondi come potresti pensare che sono cattivi? Non hanno linguette
ai confini, e poi lascia sempre cadere radici giovani di piccoli germogli
perché io li raccolga e li pianti nel giardino dei sogni che coltivo
la’ a destra, lo vedi? Guardalo pure, è grande da perdersi,
ma non lasciarti neanche sfiorare dall’idea di rubare qualcosa:
già lo fanno le gazze e loro non permettono agli estranei di entrare.
Guarda di fronte, piuttosto. Ti porto nel centro di questo piazzale. Stai
attento all’asfalto: è un po’ tappezzato. Poi avanti
le radici dei pini hanno rialzato il terreno. Loro col loro egoismo, che
gli va’ di vedere il cielo: non gli bastasse la terra!
Se ti metti proprio qui al centro ti senti al centro di qualcosa di disgustoso.
È il punto peggiore perché non si vede niente con questi
palazzi. Ma se ti sposti anche due passi a sinistra inizia un raggio di
sole, lo vedi? Mettiti lì, ti riscalda. Adesso girati di 180: ti
faccio scoprire un vero tesoro. È il mio cane. Sta dormendo sul
mio letto. Rimane steso sul lato sinistro anche per quattro ore di seguito
e sogna di correre e di fare all’amore con Camilla. In quell’angolo
con la sedia, invece, una volta che stavo davvero male mi è capitato
di pestare le mani sotto i calli dei piedi. Quello grande è il
mio tavolo. Ci poggio di tutto, ma non ti avvicinare: è troppo
difficile che tu ci capisca qualcosa, per cui non perdere tempo. Invece
vai diritto fino al muro e appoggiati con la spalla e poi alza la gamba
sinistra e poggia anche il piede sul muro. Metti le mani in tasca e sei
nella posizione più comoda al mondo per guardarlo, appunto il mondo.
Quando passa qualcuno puoi stare lì fermo a concentrarti su ogni
suo particolare, puoi anche ascoltare ciò che dice, puoi riderne
se ti viene, oppure puoi goderti il sole e sentirti al centro dell’universo
ma con le spalle coperte: nessuno può torcerti un capello, ora
che sei là fermo. Quando ti sarai stancato della posizione, puoi
sempre cambiare gamba o mettere le braccia conserte, ma il muro sarà
sempre dietro di te. E credimi se ti dico che non c’è niente,
niente di meglio.
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